domenica 14 settembre 2008

La mostra a Palazzo Baldeschi di Perugia curata da Sgarbi

Gli "eredi" dei fondatori della Cassa di Risparmio di Perugia, tanti agricoltori e qualche commerciante che cento anni fa costituirono la banca destinata a sorreggere lo sviluppo di Perugia, non avranno immaginato lo scenario odierno.
Il Novecento e l'avvio del Duemila hanno segnato per Perugia un'agricoltura ridimensionata, un modesto sviluppo industriale e tanto terziario, ma anche la consapevolezza che il turismo e la cultura sono per questa terra una risorsa primaria.
In questo senso, la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia che della Cassa di Risparmio ha raccolto l'eredità materiale, investe una fetta consistente dei suoi utili per l'arte e la cultura in generale.
In tempi difficili per i bilanci delle istituzioni locali, eventi espositivi come quelli dedicati a Perugino, Pintoricchio, Cerrini non si sarebbero potuti organizzare senza l'apporto determinante della Fondazione e i ritorni in termini di immagine ed economici sul turismo non sono mancati.
Dunque, gli agricoltori fondatori dei primi del Novecento, seppure poco acculturati, avrebbero gradito celebrare il centenario con un grande evento espositivo come quello che sarà inaugurato stamani dal ministro Bondi a Palazzo Baldeschi al Corso, dedicato a due importanti collezioni d'arte: una americana ed una italiana, di opere fra Ottocento e Novecento messe insieme con grande passione, ma in differenti contesti culturali.
Da lunedì la mostra sarà aperta al pubblico che si attende numeroso e qualificato da tutta Italia, avendo la Fondazione investito molto nella promozione sulla stampa nazionale.
"Da Corot a Picasso, da Fattori a De Pisis. La Phillips collection di Washington e la collezione Ricci Oddi di Piacenza"
, questo il titolo dell'evento presentato in catalogo (Silvana Editoriale) da Vittorio Sgarbi, rimarrà aperta fino al 18 gennaio e presenta una cinquantina fra dipinti e sculture di grandi maestri e di artisti italiani a volte meno noti, ma con lavori di grande qualità.
Duncan Phillips, famiglia di industriali americani dell'acciaio, scoprì all'inizio degli anni Dieci del Novecento Renoir e gli impressionisti e da allora decise di diventare un collezionista.
In effetti già nel 1921 fondò un museo che è stato il primo d'arte moderna ad essere stato aperto negli Stati Uniti.
Con la moglie acquistò più di 2.000 opere che per l'epoca erano considerate decisamente moderne, anzi rivoluzionarie.
Una venticinquina delle quali, immerse nel blu dell'allestimento e accarezzate da fari dedicati che oscurano l'ambiente, sono in mostra a rappresentare la collezione.
Ci sono - fra gli altri - due Corot, un bel Delacroix, il sorprendente "Balletto spagnolo" di Manet, un Courbet e poi la sala dell'Impressionismo con Van Gogh della "Casa a Auvers", con due Cèzanne, Monet, Sisley , Utrillo, Russeau e una scultura di Renoir con madre e figlio.
La modernità, sempre nell'ottica del tempo, è rappresentata da Redon, Bonnard (due, fra cui un bellissimo nudo) e poi certamente da Picasso con la scultura del "Giullare", una bellissima "Natura morta con frutta e bicchiare" e un volto di donna decisamente "picassiano".
Bellissimi i due Braque cubisti, curioso, ma non eccezionale quello del 1952, figurativo. Una delle perle della mostra è certamente il Modigliani del 1917 col ritratto di Elena Povolosky e ancora Dufy e Rouault, Kokoschka e il più "moderno" dei quadri esposti, un Kandinskij del 1913, uno schizzo di grandi dimensioni decisamente astratto.
L'italiano Giuseppe Ricci Oddi, piacentino, agricoltore ma anche industriale che era nato nel 1868, amò molto i macchiaioli, i simbolisti e tutto ciò che precedette le avanguardie, guardando non soltanto alla celebrità dei nomi, ma alla qualità delle opere.
É stato dunque un moderato come collezionista, ma specchio del suo tempo. In mostra una ventina di opere rappresentano la sua avventura di collezionista, quadri e sculture inondati di luce, amplificata dall'arredo questa volta chiaro (complimenti agli autori del progetto espositivo Daria Ripa di Meana, Bruno Salvatici e Carlo Salucci e al direttore della mostra Giuliano Masciarri) per esaltare la frequente luce interna delle opere.
Si apre con un quadretto tipico di Fattori del 1861/4, un Fontanesi, uno Zandomenghi con una bellissima "Piazza d'Anversa di Parigi" del 1880, una scultura di Gemito e poi de Nittis.
Per il Divisionismo e dintorni ci sono il ben noto "Ritratto della madre" di Boccioni del 1910, dipinto con accentuate pennellate "in libertà" nel tracciato figurativo, ma quando già aveva redatto il manifesto dei pittori futuristi con Carrà, Balla, Severini...
C'è poi un triste, anzi lugubre "Fumatrici d'oppio" di Previati, un bel Nomellini del 1900 e un notevole "Tramonto" di Pellizza da Volpedo e un cromaticamente ardito Sartorio, importante anche per il dinamismo dei corpi.
Ci sono pure opere della Bell'epoque con nomi meno eclatanti. Infine Campigli, ma non del suo imprinting, un Carrà modesto e un bellissimo Casorati "Donne in barca".
Una gran bella mostra tutta da vedere, ben allestita e arricchita del Book shop all'ingresso, introdotta al primo piano da proiezioni utili a iniziare il percorso e da una succinta esposizione di alcuni capolavori della Fondazione: il Perugino, il Matteo da Gualdo e il Cerrini, senza dimenticare la collezione di ceramiche.

Massimo Duranti
dal Corriere dell'Umbria Domenica 14 Settembre 2008

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