mercoledì 17 dicembre 2008

Alzheimer e musicoterapia a Madonna Alta

I medici la definiscono un
"processo degenerativo cerebrale associato a un deterioramento della personalità."
Per i malati e per i familiari si traduce molto concretamente in perdita di memoria, di autonomia, in un progressivo venir meno delle più semplici capacità di relazione.
La malattia di Alzheimer colpisce circa il 5% delle persone dai 60 anni in su, oltre 500mila in tutta Italia.
Bruno era uno di loro.
Settantaquattro anni, perugino, la memoria che piano piano cominciava ad abbandonarlo, una diagnosi che non lasciava speranza.
Insieme ad altre persone Bruno, qualche anno fa, cominciò a frequentare il piccolo gruppo di malati del centro diurno di Alzheimer, a Madonna Alta.
Ed è stato lì che ha incontrato la musicoterapia, grazie ad una collaborazione creatasi tra il centro e l'associazione Pam, realtà nata nel 2000 con l'obiettivo di raccogliere le sofferenze, agevolare e facilitare le relazioni delle persone colpite da Alzheimer.
Bruno oggi non c'è più: la malattia, come succede sempre a chi riceve questa diagnosi, ha vinto sulla sua forza di volontà.
Ma Francesco Delicati, musicoterapeuta e presidente di Pam, si ricorda bene di quella persona speciale con la quale ha tanto lavorato:
"Bruno, dopo qualche mese di titubanza, ha ripreso a suonare il clarinetto, come faceva da giovane.
All'inizio era timoroso, sembrava far fatica, poi piano piano ha iniziato a prendere coraggio, con risultati che miglioravano di giorno in giorno, fino ad arrischiare persino brevi forme di improvvisazione."
La storia di Bruno è simile a tante altre storie di anziani, che grazie all'associazione per la quale opera Delicati, hanno trovato nella musicoterapia una formidabile possibilità di "ritorno alla vita".
Delicati lavora con piccoli gruppi di persone, operando con percussioni e suoni di ogni tipo per migliorare la qualità della vita degli anziani colpiti da Alzheimer.
"La malattia, certo, fa il suo corso - spiega - ma la musica può rallentare l'avanzare del morbo, può aprire nuovi e inaspettati canali di comunicazione, può agevolare le relazioni interpersonali.
Il mio lavoro è quello di raccogliere vissuti e stimolare competenze, quali quelle musicali, che il nostro cervello conserva fino alla fine."
Bruno, fino a pochi istanti prima di morire, ha cantato le canzoni della sua infanzia.
"Piemontesina", "Reginella campagnola", tutte le musiche della giovinezza, che tante porte aprivano sul passato e sui ricordi più belli.
"In molti - sottolinea Delicati sorridendo - mi chiedono quale sia il senso di lavorare con persone condannate a morte.
É il canto di Bruno, che ha allietato i suoi familiari fino all'ultimo giorno, a racchiudere tutto il senso del nostro operare"
Federica Grandis
Corriere dell'Umbria Mercoledì 17 Dicembre 2008

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