martedì 26 marzo 2013

Consorzio Unico e marchio d’area per il Vino Umbro

Salute! E un bel brindisi al vino umbro che si distingue per una produzione di qualità, visto che Igp e Dop coprono l'88% di quella regionale, ben al di sopra della media nazionale del 62%.
Ma se la qualità c’è a mancare è sia la riconoscibilità dei vini umbri all'estero, fondamentale per migliorarne la penetrazione commerciale, che la visibilità dei piccoli produttori locali in casa. Produttori, tra l'altro, spesso sprovvisti di mezzi e strutture commerciali per volare alto. A fornire la radiografia e la diagnosi del sistema vitivinicolo timbro, proponendo strategie di riorganizzazione, è il "Progetto speciale per il settore vitivinicolo umbro" realizzato dalla Regione Umbria in collaborazione con Nomisma ed Inca, presentato ieri mattina al Broletto dall'assessore all'Agricoltura Fernanda Cecchini alla presenza dei produttori e delle loro associazioni, già oggetto di indagine conoscitiva e parte integrante del "Piano vino".

Poco più di un ettaro. È questa la dimensione media delle imprese umbre nel settore vitivinicolo. Una dimensione inferiore alla media italiana (1,65). Complessivamente le aziende umbre sono 11.136 (dati Istat 2011), pari al 2,9% delle aziende nazionali. La produzione umbra incide, invece, solo per l'1,1% sulla produzione nazionale di vino. - Litri di Dop e Igp. I vini Dop ed Igp umbri, seppur numerosi, hanno imboccato negli ultimi tempi un nuovo trend. Se nel 2008 prevalevano i Dop (47%) rispetto agli Igp (37%), nel 2011 le proporzioni si sono invertite: 41% Dop contro 48% Igp. Intanto, nel 2011 sono stati in tutto 481mila gli ettolitri prodotti in Umbria, di cui 198mila Dop e 230mila Igp.

Da Orvieto a Montefalco. Da un punto di vista quantitativo le denominazioni più importanti sono Orvieto, che rappresenta il 55% della produzione umbra di vini a denominazione, e il Montefalco che pesa per un 10%. Il resto sono piccole realtà Dop e Igp. L'Export tra alti e bassi. Nel triennio dal 2009 al 2011 l'export umbro è aumentato del 48%. Ma proveniva da un crollo, nel 2009, a due anni di distanza dal picco del 2007. Fluttuazioni dovute al calo di domanda di vini imbottigliati, quasi la totalità dell'export umbro che rappresenta solo lo 0,6% di quello italiano. Intanto, nel 2011 le esportazioni totali di vini umbri hanno raggiunto i 29 milioni di euro, di cui 27 di imbottigliati, con un volume di quasi 100mila quintali. Principali mercati sono Usa, Germania e Regno Unito, mentre per Russia e Cina occorrono ancora strategie mirate. In Umbria l'export è appannaggio di pochi mentre la gran parte delle aziende "è troppo piccola per esportare."

In Umbria il 95% delle uve lavorate proviene dalla stessa area provinciale e l'84% dei terreni sono di proprietà. Ma se denominazione e origine italiana sono fattori di successo all'estero, la bassa esportazione dei vini locali risente della mancanza di adeguate competenze tecnico-manageriali, una "scala operativa" ridotta e poca formazione, ricerca e tecnologia. Completano la diagnosi la frammentazione della produzione, "con una storica mancanza di forme di collaborazione tra imprese"ed una "limitata riconoscibilità e distintività dei vini umbri."Soprattutto all'estero. Consigliato è ora un "organismo collettivo" - consorzio o contratto di rete o altro - aperto a tutti i produttori vitivinicoli e ai consorzi di tutela. E caldeggiato è un consorzio unico dei vini Dop e Igp dell'Umbria, "in sostituzione dei consorzi di tutela oggi esistenti."Da mettere insieme sono intenti e risorse, "necessarie al cofinanziamento pubblico", per la crescita delle imprese locali. A partire da un marchio d'area, passe-partout per quei paesi dove l'Umbria è ancora forse solo terra di santi.
Corriere dell'Umbria Martedì 26 Marzo 2013

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