venerdì 13 novembre 2009

Umbria Jazz 2010: Lodola disegnerà il logo

Quanti, a Perugia, sono appassionati d'arte, ma anche i polemici, i semplici curiosi e chi proprio non sopporta "il contemporaneo", in ogni sua forma declinata, molti, insomma, conoscono bene Marco Lodola (nella foto accanto a Sonny Rollins), artista che in città è stato proposto in più modi e tempi. Nel 2000, con "M.Lodola", a Spazio Arte. Alla Galleria Artemisia, nel 2002. Nel 2007 con "Lodolismo", ad Armory Arte, per giungere all'ottobre del 2008, con l'installazione luminosa sulla facciata di Palazzo Penna, in occasione della mostra "Viva l'Italia", curata da Luca Beatrice, per la quale sono stati versati fiumi d'inchiostro. Una nuova occasione d'incontro a Perugia con l'artista pavese la offrirà, nell'estate 2010, Umbria Jazz. Lodola ha infatti ricevuto l'incarico per la creazione del logo e dei "segni di comunicazione" per la prossima edizione del festival.
"Sarà tutta giocata sull'immagine e il profilo del sassofonista Sonny Rollins", dice Lodola,"anche se, al momento, sto ancora perfezionando l'idea."
Da sempre Lodola guarda al mondo della musica e dello spettacolo con un interesse particolare, concretizzato in scenografie di concerti, copertine di album e gadget. Ancora a Palazzo Penna, a Perugia, nel 2006 con "Sound & Vision", Lodola è in prima fila in una grande rassegna dedicata all'incrocio tra arti visive e musica. Nel 2008 sono suoi i segnali che illuminano il Festival di Sanremo. Eccolo alla mostra "Love me Fender", a Bologna, Museo della Musica, fino al 20 Gennaio, mentre riconosciamo
"le sculture danzanti all'interno di X Factor, su Rai 2", precisa l'artista.
"Per me è una scelta di linguaggio che va benissimo. Non possiamo negare che esistano i programmi popolari."
Lodola, fondatore negli anni '80 del Nuovo Futurismo, è oggi uno dei nostri artisti visivi più apprezzati per la giocosa leggerezza che rifulge nei suoi giochi di luce. Lo dimostra la sfilza di esibizioni che, in questi mesi, sono all'estero, fra Parigi, Londra e un ampio circuito internazionale.
"In effetti, dopo la mia presenza a questa 53ma edizione della Biennale d'Arte di Venezia, curata da Luca Beatrice, ho avuto riscontri inaspettati"
, osserva Lodola. Il quale parla di se stesso come di "un artista elettricista", mentre snocciola un po' ovunque la presenza di vividi bestiari, totem luminosi e le sue famosissime e iridescenti coppie danzanti, realizzate in perspex e neon.
"Mi definiscono 'quello che fa i ballerini luminosi'. Dopo ventotto anni di attività mi sembra un po' poco, ma se uno si accontenta... Comunque, nel marasma di artisti e cose che ci circonda, questa è una mia precisa connotazione. Del resto di Franco Fontana si diceva che era 'quello dei tagli'."
Le ritroviamo, queste forme, alla Galleria Centro Steccata, a Parma, con "Lodola Antologica (1982-2009)", fino al 31 dicembre, ennesimo mosaico di un universo ricco e variegato, indicizzato negli ultimi volumi che riguardano l'artista pavese: "Lodolandia" e "Marco Lodola. Frames", editi da Electa. La danza è dunque un tema costante nei suoi interessi?
"L'ho sempre seguita, e rivisitata più volte. Anche adesso è la tematica che preferisco e ho navigato più profondamente, come dimostra la trentina di cataloghi che mi riguardano. In ognuno di essi non mancano figure danzanti. Perché la danza è un modo di celebrare la vita e rappresentarla, è una manifestazione che considero filosofica, oltre che fisica."
In altri artisti italiani la danza non è scelta consueta. Con lei invece la dedica al soggetto è sempre originale.
"Alla fine lo è diventata. All'inizio non avevo programmato o progettato niente, faccio sempre istintivamente ciò che mi coinvolge. Ma sin dall'inizio ho notato che, al di là della richiesta di mercato, è una cosa che mi piace realmente fare. Rappresentare la danza, in tutte le sue forme e sfaccettature, è una terapia cromatica, mi ha risparmiato tanti soldi in cure psichiatriche, e mi toglie le angoscie. Ho cominciato con le danze popolari, il musical degli anni '20 e '30. Poi ho rivisitato i modi di danzare del mondo intero, dai dervisci alla danza del ventre."
C'è un segmento di questa iconografia che lei privilegia rispetto ad altri?
"No, anche se, con il passare del tempo, ciò che mi affascina di più è il musical anni '20 e '30. Sono nato nel '55, con la televisione, e i film musicali che vedevo e rivedevo in bianco e nero mi avevano sempre colpito per le coreografie. Ho cercato di immaginarmeli come sarebbero stati una volta colorati."
In ambito internazionale questo suo interesse è maggiormente premiato rispetto all'Italia?
"Si perché la danza, come la musica, è un linguaggio universale, dall'Africa alla Nuova Zelanda non ha bisogno di spiegazioni."
Ha tradotto in senso commerciale le sue forme?
"Ho applicato la mia arte a oggetti di uso comune: ombrelli, foulards. Ma è normale, è la mercificazione di qualsiasi cosa, alla quale non si sfugge. In ogni caso cercare di comunicare a livelli diversi dalla galleria o i circuiti, è qualcosa che mi è sempre piaciuto. Fa un po' il verso ai futuristi che già lo facevano, uscendo dal solito percorso"
Ermanno Romanelli
Corriere dell'Umbria Venerdì 13 Novembre 2009

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