martedì 23 dicembre 2008

Pier Paolo Pandolfi dalla genetica dei tumori verso il Nobel

Non si sente un "cervello in fuga" perché in Italia ha avuto eccellenti occasioni, che ha còlto. Pier Paolo Pandolfi, scienziato romano in odor di Nobel per gli studi sulla genetica del cancro, racconta che nei suoi anni perugini si è "divertito moltissimo".
Fresco di laurea (classe 1963) ha lavorato "tanto e bene" nel gruppo dello scienziato eugubino Pier Giuseppe Pelicci, a cavallo tra gli Ottanta e Novanta.
Ma poi è "volato" in Inghilterra. Quindi a New York, al Memorial Sloan Kettering Cancer Institute. Da un anno è alla Harvard University di Boston, a capo di un laboratorio con svariate decine di ricercatori.
Come a New York, del resto, nell'altro centro leader mondiale nella ricerca e nella terapia contro i tumori.

Ciò che lo muove, dice, è la "passione". L'"entusiasmo indescrivibile" per i suoi studi. Quindi il luogo "giusto" è quello che garantisce le condizioni migliori per la ricerca. Per fare passi avanti nella conoscenza dei meccanismi della patogenesi dei tumori. É tornato a Perugia una settimana fa, il professore, per una delle conferenze organizzate dall'ematologa Cristina Mecucci in occasione delle celebrazioni per i 700 anni del nostro Studium Generale.
Un veloce tuffo perugino, prima di rientrare alla base. A Boston. Professore, lei ha identificato una proteina, chiamata Pten, che "scompare" in molti tipi di tumori che colpiscono organi diversi - seno, cervello, colon, prostata - e ha ricostruito il meccanismo genetico di questa scomparsa: può spiegarci cosa accade?
"Pten, come molte altre proteine codificate da geni soppressori del tumore viene inattivata mediante una serie di meccanismi differenti.
I quali hanno in comune il fatto che la funzione di Pten venga meno e il tumore si sviluppi. Conoscere tali meccanismi è importante per sviluppare farmaci che ripristinino la funzione di queste proteine, che sono fondamentali nel sopprimere l'insorgenza tumorale."
Se la "distruzione" di questa proteina è "comune" nei differenti tipi di tumore: allora si può pensare a un farmaco che ripari il difetto e sia efficace per la cura di tumori che colpiscono organi differenti?
"Certo.
Stiamo infatti scoprendo che questi meccanismi molecolari aberranti sono condivisi da tipi di tumore apparentemente molto diversi come la leucemia o il tumore della mammella.
In futuro catalogheremo i tumori sulla base dei meccanismi anomali e non più necessariamente sulla base delle caratteristiche istologiche e morfologiche."
Allora è corretto dire che la scienza sta passando dallo studio della eterogeneità, delle differenze, a quello di un "comune denominatore" dei meccanismi genetici difettosi alla base dei tumori?
"Assolutamente sì.
Speriamo di trovare gli snodi cruciali di questa 'rete' che siano condivisi da più tumori. Detto questo ci saranno differenze che rimarranno caratteristiche specifiche di un tipo, o piuttosto di un altro.
Ad esempio i recettori degli estrogeni sono presenti sulle cellule di alcuni tumori della mammella, mentre altri tipi di tumore non li esprimono.
É questo tipo di differenza che ci fa parlare di 'terapia personalizzata del tumore'. Come dire: ad ognuno la sua combinazione di farmaci intelligenti per riparare i difetti molecolari specifici."
Per restare tra i rimedi, lei ha dimostrato che un farmaco a base di arsenico è in grado di uccidere le cellule staminali tumorali della leucemia mieloide cronica.
Questo farmaco può essere usato nella cura di altri tipi di tumore?
"Pensiamo proprio di sì. Riteniamo, infatti, che l'approccio terapeutico sviluppatosi nel contesto della leucemia mieloide cronica possa essere applicato ad altri tumori per eradicare le staminali del cancro, che si pensa siano alla base dell'insorgenza del tumore e della sua recidiva dopo la terapia."
Come ha avuto l'intuizione dell'efficacia dell'arsenico?
"Sapevamo inattivasse una proteina chiamata Pml.
Abbiamo scoperto che Pml, se bloccato, danneggiava la funzione delle cellule staminali del cancro. Abbiamo perciò pensato di usare l'arsenico. E sembra funzionare. Voglio precisare che questa sostanza viene utilizzata, in questi casi, a bassissime dosi assolutamente ben tollerate dal paziente.
Stiamo ora studiando se l'arsenico possa funzionare in altri tumori."
Professore, dopo gli studi a Perugia, è andato via giovanissimo dall'Italia. Di lei si parla come di un prossimo Nobel: come vede lo stato di salute della ricerca italiana e cosa suggerisce?
"Lasciamo stare il Nobel.
Lo scopo è curare il cancro. Patologia grave e diffusissima: un problema di sanità globale. E così deve essere affrontato da tutti gli stati e le economie, in maniera globale come sforzo comune e condiviso.
L'Italia ha sempre giocato una parte fondamentale in questa sfida e deve continuare a farlo in futuro.
Abbiamo i talenti e pure i mezzi, almeno potenzialmente. Però dobbiamo decidere, come Stato, che ciò divenga priorità nazionale. Negli States lo è da sempre. Investire risorse ed investirle bene: solo ed unicamente sull'eccellenza e sui talenti. In Italia ci sono meno soldi che in altri paesi europei. É perciò ancor più grave se queste risorse vanno sprecate nel finanziare attività non meritorie."
Dove sono le eccellenze italiane nonostante la cronica mancanza di finanziamenti?
"Ce ne sono tante.
L'Università di Perugia è un esempio lampante. La Scuola Medica è di primissimo ordine. Al policlinico universitario negli ultimi hanno sono state fatte scoperte importantissime nel settore della oncologia ematologica, che hanno fatto la storia della medicina.
Ciò deve essere preservato, nutrito e potenziato. Sarebbe cosa sensata e giusta che lo Stato investisse su queste realtà. Ad esempio creando un centro di eccellenza dedicato alla ricerca e alla cura del cancro a Perugia. Cosa potrebbe convincerla a tornare a lavorare in Italia? "
Dico sempre che mi sento cittadino del mondo, dedito ad una causa forte ed importante: la sconfitta del cancro.
Ho stretti rapporti con l'Italia. Ci vengo spessissimo. Mi fa felice contribuire e collaborare. Ho tanti ragazzi italiani di talento nel mio gruppo a Boston. Quindi in Italia ci sono già, e l'Italia e parte di me. Quello che conta è fare scoperte importanti e farlo presto. Lo dobbiamo a chi soffre. Tutto il resto non conta. E poi mai dire mai"

Donatella Murtas
Corriere dell'Umbria Martedì 23 Dicembre 2008

1 commento:

  1. ITALIANO e per giunta anche nato a ROMA...giuro che lo ammiro moltissimo...anche se tifasse la... lazzie!...ahahahahahah... inculo alla balena P.P.P. <3

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