Le accuse più pesanti riguardano l'associazione per delinquere finalizzata al depistaggio. Il vaglio arriva a 23 anni dalla morte del giovane docente universitario e a sette anni dall'inizio dell'inchiesta.
La procura - le indagini sono state coordinate dall'inizio alla loro conclusione dal pm Mignini (tranne un periodo in cui il sostituto procuratore era stato affiancato due due colleghi, Giuseppe Petrazzini e Gabriele Paci, che poi avevano restituito la delega) ha chiesto il rinvio a giudizio delle ventidue persone - a vario titolo - tra i quali congiunti, amici e conoscenti del professor Francesco Narducci.
Questi soggetti avrebbero preso parte - chi in maniera più coinvolgente, chi meno - al "depistaggio" (il "grande bluff") avvenuto a partire dalla mattina di domenica 13 ottobre 1985 e iniziato con il riconoscimento del cadavere ripescato quale quello di Francesco Narducci (mentre si sarebbe trattato di uno sconosciuto, più basso e più grasso del docente).
Le tappe della vicenda sono note ormai da tempo. L'8 ottobre 1985, nel pomeriggio, dopo essere salito in barca alla darsena di San Feliciano, il professor Francesco Narducci era sparito.
Al lago si era portato dopo una mattinata trascorsa in facoltà (durante la quale avrebbe ricevuto una "misteriosa telefonata", dopo la quale era apparso confuso e stralunato) ed un rapido pasto consumato, con la moglie, Francesca Spagnoli, nella abitazione della coppia in via dei Filosofi.
Da casa il docente era partito a bordo della propria moto Honda di colore rosso. Se non il più giovane, Narducci - figlio del ginecologo professor Ugo - era, all'epoca, uno dei più giovani docenti universitari italiani.
Le ricerche da parte di polizia, carabinieri, vigili del fuoco e volontari risultarono inutili per cinque.
Il corpo venne restituito dalle acque del lago, a sud est di dove era scomparso (l'isola Polvese), in località Arginone, di fronte all'approdo, frequentatissimo, di Sant'Arcangelo di Magione.
Il cadavere restò a lungo adagiato sul molo in attesa delle formalità di rito. Successivamente, dopo essere stato sottoposto alla visita esterna di un medico legale inviato sul posto e dopo il riconoscimento ufficiale (effettuato da due amici e colleghi del docente morto), il corpo fu portato nella villa che la famiglia Narducci possedeva a San Feliciano.
I necrofori trattarono e ripulirono il cadavere che venne poi esposto alla pietà dei familiari e degli amici.
Secondo l'accusa sarebbe stato in queste fasi che il corpo dello sconosciuto sarebbe stato scambiato con quello del vero Narducci (che secondo questa ipotesi sarebbe stato ucciso sulla Polvese, per strangolamento e poi riportato a terra, con un barchino, a San Feliciano già il giorno 9 ottobre).
Il martedì mattina venne tumulato in una cappella del cimitero di Perugia. Nell'estate del 2001 era stata aperta l'inchiesta dopo che la squadra mobile di Perugia, che indagava sull'estorsione subita da una parrucchiera di Foligno, aveva intercettato una serie di telefonate in cui gli estorsori, allora ignoti (ora uno è stato condannato, gli altri stanno affrontando il processo di primo grado davanti ai giudici di Perugia), spacciandosi per una setta satanica minacciavano la vittima e il figlioletto (un bambino dai capelli rossi) della stessa fine "del grande medico Narducci e del Pacciani."
Secondo l'accusa (che si basa tra l'altro sulla perizia del professor Giovanni Pierucci) Narducci sarebbe stato strangolato perchè coinvolto in qualche modo in una setta che avrebbe ordinato i delitti del "mostro di Firenze" ai compagni di merende, ai quali avrebbe pagato le parti di corpo tagliate alle vittime, utilizzate per immonde cerimonie.
I consulenti della famiglia sostengono che il Narducci si sarebbe suicidato assumendo una dose massiccia di meperidina (anestetico utilizzato in gastroenterologia), probabilmente per motivi di salute (temeva di essere stato colpito da una grasissima patologia).
Le due tesi finiranno a confronto alla vigilia di Natale. Sulla vicenda del mostro di Firenze verrà presto girato un film a Hollywood sulla scorta del romanzo, dal titolo "Il mostro di Firenze", scritto a quattro mani dal giallista americato Douglas Preston e dal giornalista fiorentino Mario Spezi (anche loro indagati per depistaggio dalla procura di Perugia).
I diritti sono stati acquistati da una major statunitense per due milioni di dollari. Sulla vicenda starebbero per uscire anche altri due libri. Sulla vicenda sono stati scritti romanzi, gialli e istant book fin dall'inizio. Lo stesso investigatore Michele Giuttari, capo del Gides per anni, ha pubblicato libri di successo su questa storia.
Elio Clero Bertoldi
dal Corriere dell'Umbria Giovedì 25 Settembre 2008
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