Nessuno aveva pensato, fra le poche cose da salvare del vecchio complesso del Policlinico (come la chiesa interna "Salus infirmorum" con le pitture murali di Dottori), a quell'opera che in quaranta anni ha vegliato ed assistito al compianto dei parenti ed amici di migliaia di salme. Gianfranco Cialini, storico medievalista e responsabile della Biblioteca del Dottorato dell'Università, ben noto scopritore di documenti eccezionali fra le rilegature di libri antichi, soprattutto ottimo ricercatore che si trova ad arare un terreno ancora in gran parte da dissodare, questa volta si è accorto di un'opera d'arte che rischiava di finire in polvere. I tempi erano stretti, nel senso che la ditta incaricata stava per iniziare i lavori di demolizione.
Ne ha parlato subito col Pro rettore, il professor Antonio Pieretti che si rese conto di non avere il tempo per lanciare appelli ed avere riscontri immediati per salvare l'opera e allora ha trovato fra le pieghe sempre più rare del bilancio una somma non poi tanto piccola per incaricare una ditta di restauri di Spoleto di distaccare la pittura. Ora, l'estesa pittura, insieme allo stemma dell'Università che, pure, è stato distaccato da altro edificio ex ospedaliero è lì che attende di essere "svelata", il che comporta un'altra spesa non insignificante, perché si concluda la seconda parte dell'operazione di salvataggio. Infine, bisognerà trovarle una collocazione. Non è questa la sede per affrontare problemi burocratici sulla proprietà dell'opera. Il fatto è che è stata salvata dalla distruzione e tanto basta. L'appello è rivolto alle istituzioni tutte, corredato da una proposta. Non senza aver prima ricordato brevemente l'importante figura di Enzo Rossi, l'autore. Il quale nacque a Perugia nel 1915 e frequentò l'Istituto d'Arte e poi l'Accademia di Belle Arti, nella quale insegnò Scenografia fra gli anni Sessanta e i Settanta. Come altri studenti dotati di talento, se ne andò presto a Roma, lavorando in quella Villa Massimo che fu la fucina dei maggiori artisti italiani del dopoguerra (Guttuso, Mazzacurati, Leoncillo…). Combattuto anche lui fra figurazione e astrazione, non risolverà il dilemma sostanzialmente mai, eccellendo in qualsiasi linguaggio. Certamente, come nel caso del dipinto slavato a Perugia, il suo figurare risente spesso della diffusa tendenza post cubista della stagione della formazione. Ebbe anche la fortuna di conoscere e frequentare Severini dopo il suo ritorno da Parigi. Mantenne i rapporti con Perugia e l'Umbria anche quando non vi insegnò, lavorando a opere per chiese e istituzioni. Nel 1968 fondò l' Istituto Statale d'Arte Roma 2 specializzato in arte sacra, avendovi lavorato alla preparazione fin dal 1963. a livello artistico ebbe il massimo dei riconoscimenti e fu invitato più volte alla Quadriennale di Roma. Molto successo ebbe anche come scenografo; lavorò infatti per i maggiori teatri italiani: dalla Scala a Milano all'Opera di Roma, al San Carlo di Napoli.
Il San Francesco dipinto per la cappella mortuaria è un tipico esempio della sua pittura dalla struttura fondamentalmente figurativa, ma ricca di scomposizioni e parcellizzazioni segnico-cromatiche. Il santo, che tiene in mano il crocefisso, come da tradizione della pittura umbra da Perugino a Dottori, troneggia in mezzo al paesaggio, molto schematizzato, nel quale si intravedono le valli e il profilo di Perugia. Un'opera dunque da salvare sia per la sua qualità, sia per l'importanza dell'autore, sia per essere stata per decenni l'immagine del dolore, ma anche della speranza per tanti perugini. E allora, che il San Francesco sia collocato nella nuova cappella dell'Ospedale regionale Santa Maria della Misericordia, accanto alla grande Madonna di Nello Palloni
Massimo Duranti
Corriere dell'Umbria Domenica 10 Gennaio 2010
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