"Si tratta di un preparato non preventivo, ma terapeutico."Il vaccino, in altre parole,
"non è mirato a impedire la trasmissione del virus Hiv, responsabile dell'Aids, ma a migliorare il decorso della malattia. I destinatari potenziali sono quindi persone sieropositive."Il gruppo di soggetti cui somministrare il preparato sarà reclutato dall'Istituto perugino sulla base di precise caratteristiche, in considerazione del fatto che lo studio pilota che sta per avviarsi
"non servirà a valutare l'efficacia del vaccino, ma a dimostrare, prima di tutto, che è innocuo."L'arruolamento dei pazienti si prolungherà per un anno e ciascun soggetto sarà seguito per 150 giorni, con cinque somministrazioni a distanza di circa tre settimane l'una dall'altra. Baldelli sarà il coordinatore della sperimentazione che si svolgerà in contemporanea in altri tre centri universitari, a Milano, Torino e Brescia. La storia del vaccino, del resto, è legata sin dall'inizio al capoluogo umbro, dato che la messa a punto è stata possibile grazie al finanziamento della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia. La ‘paternità' scientifica del preparato va invece ascritta a Armando Caruso, ordinario di microbiologia all'Università di Brescia, e a Robert Gallo, virologo americano. Gli studi, condotti prevalentemente in Italia dal gruppo di Caruso, si sono concentrati sull'attività biologica di una proteina del virus Hiv. Si è notato che un'elevata presenza di anticorpi verso tale proteina tende ad assicurare un decorso più lento della malattia. La vaccinazione, dunque, sarebbe un tentativo di stimolare questa risposta ‘anticorpale'. Se la sperimentazione sull'uomo desse esiti positivi, sarebbero colmate diverse ‘lacune' legate ai trattamenti terapeutici attuali.
"Siamo di fronte a un'infezione che, grazie ai farmaci in uso, è stata trasformata in cronica, con un'aspettativa di sopravvivenza pari, praticamente, a quella dei soggetti non malati - spiega Baldelli -. Il problema è che la terapia antiretrovirale ha efficacia in circa il 90 per cento dei casi, e, dunque, per un 10 per cento di pazienti mancano soluzioni terapeutiche favorevoli."Ma c'è di più, perché,
"anche nei pazienti che rispondono ai farmaci, si pone la questione, dopo tempi più o meno lunghi di trattamento, degli effetti collaterali in termini di tossicità."Detto altrimenti, sarebbe utile sospendere la terapia farmacologica per alcuni anni potendo assicurare, al contempo, un decorso più lento della malattia grazie al vaccino.
"Il preparato - dice inoltre Baldelli -, ammesso e non concesso che funzioni, consentirebbe soprattutto di migliorare la qualità della vita dei pazienti, che per anni potrebbero svincolarsi dall'assunzione di farmaci antiretrovirali"
Alessandra Borghi
Corriere dell'Umbria Sabato 16 Ottobre 2010
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