"Meglio chiamarlo elefante, anche se è classificabile fra i mammut non è il tipico esemplare con il pelo", si spiega uno degli addetti ai lavori presenti sul sito. Ossia da non confondere con il tipico mammut lanoso. Certo è che nel pleistocene i proboscidati riconducibili all'elefante antico (palaeoloxodon antiquus) e gli stessi mammut si incontrano, convivono, parti integranti della stessa megafauna (assieme ai i mastodonti, le tigri dai denti a sciabola, i glyptodon, i bradipi terrestri e gli orsi dalla faccia corta). É imminente l'estinzione, con i mutamenti climatici e la comparsa dei primi "homo", che modificano l'ambiente con caccia e con il fuoco. La zona ricca d'acqua - nessuno ancora si azzarda in ricostruzioni precise, se fosse una palude o un lago - alla periferia della città giusto nel periodo compreso tra 781mila e 1,8 milioni d'anni or sono, è un habitat ideale per i grossi vertebrati. Casa e cimitero. La scoperta di scheletri di ippopotami e cervi coevi, nello stesso cantiere (qualche decina di metri più sotto, ndr) ne è la prova.
Un parco faunistico dove oggi scorgi solo fabbriche e capannoni. Gli scavi andranno avanti per qualche giorno, Marco Cherin del dipartimento scienze del sottosuolo - università degli studi di Perugia - sta valutando di allargare il raggio d'indagine in direzione di un vecchio annesso diruto, dove potrebbe nascondersi qualche altro "pezzo" di elefante. Sul posto vigila la soprintendenza ai beni archeologici dell'Umbria, sotto la supervisione di Maria Cristina De Angelis; coordinatore tecnico il geometra Francesco Giordano. Dall'ente succitato sottolineano la disponibilità dei vertici del cantiere - in capo a Flavio Prenni della Pac200A - che ha concesso l'uso di macchinari e ha circoscritto l'area di scavo. I reperti, una volta ultimati gli sbancamenti e la ripulitura, saranno trasferiti presso il lavoratori di analisi della stessa soprintendenza.
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