"Le risultanze dell'analisi condotta dal gruppo di lavoro che evidenziano la necessità di interventi finalizzati al miglioramento della qualità ambientale e forme coordinate di controllo delle diverse attività antropiche che concorrono a determinare trasformazioni ed alterazioni delle diverse componenti ambientali."Il protocollo prevedeva dunque di monitorare le criticità e implementare le soluzioni o mitigazioni necessarie. Tuttavia, tutto, o quasi, è rimasto solo sulla carta. Tanto che dopo un anno il Comitato sottopose alle altre parti del gruppo di lavoro un documento in cui denunciava le principali inadempienze: mancata partecipazione e informazione; monitoraggi e controlli non sistematici della qualità di aria, acqua e scarichi; provvedimenti insufficienti per la presenza della distilleria, azienda classificata per legge a rischio d'incidente rilevante, visto che ancor oggi impedisce l'uso della locale stazione ferroviaria. Inoltre, l'area di possibile danno riportata nelle cartografie allegate al protocollo risultava inspiegabilmente molto più piccola rispetto a quelle del Prg. Ultima inadempienza, ancora oggi rimasta tale, la mancata istituzione del "parco fluviale del Tevere". Era solo l'inizio della storia delle "buone intenzioni" sull'ecosistema Tevere, annunci politici funzionali sostanzialmente alle campagne elettorali. Dopo quel primo strumento (le cui potenzialità di gestione partecipata e controllo sono rimaste inutilizzate), usato come titolo di merito per l'avvio del processo di Agenda 21, il criterio di adottare un atto ufficiale e poi ignorarlo è stato spesso replicato. E se un protocollo d'intesa rappresenta talvolta una sorta di contentino temporaneo per i cittadini che intendono la partecipazione come strumento irrinunciabile, la sua mancata attuazione è un tradimento degli stessi cittadini da parte della politica. Il rito dello scrivere atti come fossero pura letteratura, come strumento ad effetto placebo, ha avuto seguito: ne è un esempio la delibera n. 1 del 9/1/2006, presentata dopo la grave esondazione del Tevere del novembre 2005, che aveva colpito particolarmente la zona di Ponte Valleceppi: il Consiglio Comunale di Perugia, con l'unanimità dei 35 consiglieri presenti, deliberava:
"Il fiume Tevere un ecosistema da rispettare, da vivere e da valorizzare."Seguivano tredici punti di commovente ambientalismo e provvedimenti improntati al rispetto, rimasti quasi totalmente lettera morta. Il primo punto recitava: istituire e realizzare il Parco fluviale del Tevere in condivisione con Provincia e Regione. Il secondo: acquisire l'ansa degli Ornari come luogo di studio della biodiversità già classificata area Sic (Sito di Interesse Comunitario). Il punto sette: garantire, insieme con la Provincia, che le opere di manutenzione idraulica siano sostenibili e non nascondano un'attività illecita di estrazione inerti. Il dodici: delocalizzare, per contingenti motivi di natura urbanistica e ambientale, gli insediamenti produttivi, come la distilleria Di Lorenzo e la Tecnoasfalti, non più compatibili con lo sviluppo armonico dell'intera area circostante al Tevere. A questo punto è lecito porsi qualche interrogativo sul rispetto che gli amministratori hanno degli strumenti di governo che essi stessi si danno, visto che l'attuazione delle direttive è spesso rimandata quando non addirittura ignorata. Alla utilità delle delibere continuano a credere le associazioni ambientaliste, che anche basandosi su di esse hanno organizzato incontri annuali di sensibilizzazione ai cittadini, dopo la moria di pesci del 2008. Finora per quel danno all'ecosistema risulta rinviata a giudizio soltanto la dirigenza della distilleria Di Lorenzo, per la quale veniva sollecitata la delocalizzazione dell'impianto, prevista dalla legge e già attuata per un'adiacente azienda a rischio d'incidente, la Liquigas. Al danno si aggiunge spesso la beffa: l'attività di sensibilizzazione sui temi ambientali di associazioni e comitati è costata ai responsabili numerose denunce per danni da parte della proprietà della distilleria Di Lorenzo, che ammontano ad alcuni milioni di euro. L’ultima è arrivata a chi scrive un mese fa, nonostante già da alcuni mesi (4 ottobre 2012) non ricopra più la carica di presidente del Circolo Legambiente di Perugia. La richiesta è di un milione e ottocentomila euro in solido con il presidente del comitato Molini di Fortebraccio e con il consigliere provinciale competente. In un testo che si potrebbe definire di "lirismo giuridico" vengono riportati, oltre ad alcune imprecisioni che saranno puntualizzate nelle sedi opportune, paralleli e citazioni che sembrano quantomeno fuori luogo, come quando si dice
"...da allora costoro ogni anno celebrano il giorno della memoria, con il pessimo gusto di paragonare la morte dei pesci allo sterminio degli Ebrei."Sullo stesso registro "...la distilleria, dopo essere stata costretta con ordinanza del Sindaco (pressato dagli ambientalisti) a trasferire altrove i fanghi..."e ancora "i convenuti sono uomini contro, animati da uno spirito no TAV..... Insomma un bel campionario di banalità e insulti gratuiti. Resta il fatto che se il protocollo del 1998 fosse stato applicato, ci troveremmo in una situazione molto diversa da quella attuale. Al posto della chiusura che vige oggi ci sarebbe un dialogo tra soggetti portatori di interessi differenti e magari si riuscirebbe anche a trovare una soluzione condivisa, dialogando allo stesso tavolo anziché attraverso la stampa o le citazioni degli avvocati. L’attuazione di quel protocollo nel tempo poteva perfino educare le parti al dialogo, rendendo inutile lo scontro, ma questo ormai capita solo nelle fiabe e nelle filastrocche... la palla di pelle di pollo fatta da Apelle figlio di Apollo.
Il Manifesto
Martedì 5 Marzo 2013
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