Scendendo, sulla sinistra, è posta appunto la chiesetta dei Cenciarelli, correttamente denominata di Maria Santissima Consolatrice.
Costruita su un terreno del monastero di Sant'Agnese, passò in seguito sotto la giurisdizione della soprastante chiesa di San Fortunato, per venir successivamente affidata ai Serviti.
La struttura, per diverso tempo, è stata oggetto di lavori di restauro per il rifacimento delle parti esterne.
Tra l'altro, durante questi lavori straordinari, degli ignoti hanno trafugato le campane dal piccolo campanile a vela, valendosi delle impalcature per raggiungere la parte alta dell'edificio.
La devozione popolare ha sempre avuto per la chiesetta campestre una speciale considerazione. Tanto che la festa, usualmente fissata nell'ultima domenica di agosto, è molto sentita e partecipata.
Al termine della liturgia, si passa torcoletto e cocomero. Tuttora la solennità viene annunciata con stendardi scritti a mano, inneggianti alla Madonna. Gli stessi lavori di restauro sono stati resi possibili anche da donazioni di fedeli che non sopportavano oltre un degrado inarrestabile.
La tradizione attribuisce all'intonaco interno dei poteri taumaturgici. Tanto che il nome di Cenciarelli non deriva da un cognome, ma dal termine perugino "cenciarello" che significa "straccetto".
I fedeli, specialmente nel giorno della festa, avevano l'abitudine di grattare la superficie dell'intonaco e di raccogliere, all'interno di brandelli di stoffa, la polvere così ottenuta.
Il fagottino veniva quindi riportato a casa e messo vicino al letto dei malati, sperando nella loro guarigione per intercessione della beata Vergine, intestataria del luogo di culto.
Era anche diffusa l'abitudine di legare il sacchetto al collo dei bambini, mediante una cordicella, nella convinzione di proteggerli contro malattie e disgrazie.
La chiesetta, che oggi vediamo di sfuggita passando in macchina, era un tempo assai frequentata. Spostandosi a piedi, era costume fare una breve sosta presso le sue antiche mura, anche per riprendere fiato, in vista dell'ultimo stacco nella ripidissima salita che conduce in città.
Specie nella bella stagione, la sosta consentiva di rifocillarsi con cibo e bevande, oltre che recitare una preghiera, con la segreta speranza di combinare un buon affare.
Specie se si saliva per commerciare qualche pollo o un maiale. Si contava anche sulle vendita degli ortaggi, diffusamente coltivati nella piana del Tevere e portati col carretto, a spalla o dentro ceste che le donne poggiavano sul capo.
Preparandosi ad entrare in città, i villani - che fino a quel momento avevano camminato scalzi per risparmiare sulle calzature - s'infilavano le scarpe, anche per adeguarsi al contesto urbano più decoroso.
Ora che la struttura è sistemata, si terrà ancora la tradizionale festa di fine agosto Sandro Allegrini
Corriere dell'Umbria Mercoledì 29 Luglio 2009
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