"Lo studio, in maniera scientificamente idonea, sull'effetto e l'utilizzo delle terapie collaterali non invasive rispetto a quelle farmacologica e chirurgica."Sorriso, che ha colto l'occasione per ringraziare il direttore generale e il direttore amministrativo dell'Asl2, Giuseppe Legato e Nadia Antonini, per la messa a disposizione dei locali della sede associativa, ha spiegato che
"allo stato attuale la strada maggiormente praticata è quella farmacologica, perché molto più facilmente accessibile e praticabile dai pazienti."Il perché della volontà di introdurre l'utilizzo delle "terapie collaterali" come trattamento ai sintomi causati dal morbo di Parkinson è stato chiarito dal professore, il quale ha affermato che
"nessuna di esse fa male, alcune sono chiaramente utili, ma la maggior parte di queste non è stata ancora studiata.Tra le possibili "terapie collaterali" si possono includere: ginnastica rieducativa, danza specializzata, dettato, canto, recitazione, lettura, piccole ricerche su argomenti di vario interesse, passeggiate in compagnia, scuola di computer, socializzazione, partecipazione alla gestione di progetti sociali.
La ricerca -continua Sorriso- è determinante in questo campo, perché molte delle attività che rientrano nelle terapie collaterali possono aiutare a sconfiggere o allentare la morsa della depressione che colpisce molti pazienti affetti da morbo di Parkinson, rendendo conseguentemente la vita difficile anche ai rispettivi familiari."
"Attraverso tali iniziative noi intendiamo tirare fuori dall'isolamento queste persone, ma per sostenere l'intero progetto è necessario portare avanti un'indagine che ci dia le informazioni più importanti", ha aggiunto il professore.
A tale scopo l'associazione si è impegnata nella stesura di una scheda contenente trentadue quesiti, per agevolare la mappatura sulla diffusione della malattia in Umbria, che copre aspetti fondamentali della patologia nonché quelli epidemiologici: il numero di pazienti e la distribuzione territoriale, la tipologia della patologia, l'ereditarietà, l'ambiente, il tipo di lavoro, lo stile di vita e le terapie e i rispettivi cambiamenti a seguito della diagnosi del morbo di Parkinson.
L'impegno dell'Unione dei Parkinsoniani di Perugia è in via di estensione su tutto il territorio regionale, per far fronte ai circa 3500-4500 casi stimati in Umbria, dedotti (ma non accertati) dalla media nazionale compresa tra i 200 e i 250 mila casi.
"Una deduzione -chiude il presidente dell'UP- che solleva diversi quesiti: quanti effettivamente sono? Quali sono le loro condizioni? Come vengono seguiti? Cosa si potrebbe fare per loro? Quali le possibili cause dell'insorgere della patologia?."A tutte queste domande l'UP intende dare risposta attraverso un costante impegno fatto di ricerca e solidarietà; la neonata associazione ha già ottenuto risultati positivi, riconosciuti dagli addetti ai lavori, nel campo delle "terapie collaterali" che sono ancora in via di sperimentazione e dunque non possono essere considerate risolutive.
In questo senso l'Unione dei Parkinsoniani di Perugia auspica di ricevere sostegno e sovvenzioni economiche non solo da parte delle istituzioni (in minima parte già ottenute da Comune e Regione), ma anche attraverso l'utilizzo delle donazioni provenienti dal 5 per mille
Antonio Torrelli
Corriere dell'Umbria Venerdì 3 Aprile 2009
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